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Bonino L.

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by Enrico F.

 

 

Bonino è nato a Perdasdefogu, un piccolo paesino dell’Ogliastra, il 22 Dicembre 1919, un secolo fa.Risiede da sempre a Perdasdefogu e da qui lui non intende spostarsi.

 

La sua famiglia era composta da 6 figli e vivevano con entrambi i genitori; aveva due sorelle maggiori, Filomena e Iolanda, una era nata nel 1907 e l’altra due anni dopo nel 1909, poi il fratello Orazio, Maria e Italina (morta giovane, Bonino ha saputo che era morta tramite un telegramma quando si trovava in Jugoslavia, durante la Seconda Guerra Mondiale). In casa le decisioni le prendevano suo padre e sua madre insieme, sia riguardo lo studio dei figli sia per il lavoro. Anche se non c’erano molte possibilità, i mestieri a cui ambire erano pochi.

 

Adesso abita nella casa dove ha trascorso l’infanzia, cheera composta da quattro stanzecon“su stassu”( il soppalco); come in tutte le case del paese c’era la cucina, il forno, ma anche la stanza dove si tenevano gli animali: il maiale, la macina con l’asinello (perché prima non c’era né il mulino né il fornaio e il pane si faceva in casa, cosi come la macina del grano). Ricorda che Il pane di allora era molto buono, sua madre inoltre, faceva spesso il “pane duro”, meglio noto come “pane bianco”, che veniva fatto in occasione delle feste. Per tutti i giorni invece si faceva la “moddiggina”, il tipico pane foghesino di patate. Racconta che ai suoi tempi la povertà era tanta ed infatti molte famiglie potevano cibarsi del solo pane d’orzo, ma nonostante tutto, si viveva tranquilli ed erano poche le persone che andavano via dal paese in cerca di fortuna.

 

Racconta inoltre della sua infanzia tra i campi, come tutti gli abitanti del paese, perché quando era piccolo tutti eranocontadini o pastori, c’erano pochi artigiani,ad eccezione di qualche muratore, qualche falegname, un fabbro-ferraio.

 

Dovette saltare alcuni anni delle scuole elementari. La quinta elementare non la fece; fece la quarta promosso in quinta, poi il padre-finito il tempo dell’obbligo scolastico-lo ritenne abbastanza grande per portarlo con sé ad arare e seminare l’orto. All’epoca a Perdasdefogu apparvero i primi aratri di ferro;prima di allora c’erano solo quelli di legno, e questafu una fortuna per lui, che imparò da subito ad usarlo. Fare il contadino nella nostra terra era un mestiere difficile, i terreni sono brutti da lavorare, aridi, sassosi e non hanno una produzione abbondante; tanto che molto spesso i foghesini andavano verso Su Pranu, nei terreni di proprietà di Arzana, Villagrande, Ulassai, dove c’erano pianure che rendevanodi più. Dell’epoca fascista ricorda che sin da piccoli si era chiamati a svolgere il servizio premilitare: per questo, quando dovette partireper fare il militare conosceva già i fucili, i gradi e sapeva come comportarsi nei confronti dei gradi maggiori.

 

Durante il suo ultimo anno da militare imparò inoltre a fare il telegrafista, trasmettere con il cosiddetto punto e linea (il codice Morse): era unruoloimportante perché,per le spie nemiche,era difficile decifrare questi segnali. Ricorda che questa mansione gli dette grandi soddisfazioni, il telegrafo che utilizzava era uno strumento particolare a cui mancava il tasto e lui racconta che lo fece da sé utilizzando una chiave di ferro come quelle con cui si stringono i dadi ed un tronchetto di legno. Era molto bravo: portò a termine il corso
2ed ottenne il brevetto con il massimo dei voti,20/20, ottimo con elogio, brevetto che conserva ancora gelosamente.

 

Nel ventennio fascista,ricorda,era convinzione comune che l’Italia fosse lo stato più potente del mondo, il più ricco, il più colto. Si trattava solo dipropaganda fascista ma lui (come tanti) ci credeva davvero. Da giovane amava vestirsi bene. Racconta divertito che,quando andò a Bologna per il servizio militare, tutti i presenti vennero messi in fila per la consegna delladivisa, ma erauna tagliatroppo grande, e lui si sentiva un burattino vestito cosi. Si cambiò, andòa consegnare gli abiti civili e un tenente gli disse: “Chi ti ha conciato così? Vai in magazzino e fatti cambiare la divisa”.

 

Durante il servizio militare venne mandato a Ravenna e poi a Camporosso, un piccolo paese vicino a Ventimiglia, in Liguria, in cui ognuno imparò a fare il mestiere che gli piaceva. Ricorda che aveva soggezione dei continentali, pensava che fossero più scaltri eintelligenti dei sardi, così non disse di essere un telegrafista con brevetto, ma andò insieme ai guardafili, perché aveva paura di fare brutta figura davanti a loro.Imparò così una nuova mansione, salire sui pali e fare i legami con il ferro. Un giorno però si avvicinò agli uffici dove lavoravano i telegrafisti e, ascoltandoli, notò che non sapevano fare molto di più rispetto a lui. A questo punto chiese di poter provare il telegrafo ma venne mandato via. Non si dette per vinto e continuò ad insistere, facendo notare che era in grado di usarlo; venne dunque accontentato ed il tenente rimase stupito dalla maestria, domandandogli perché fosse andato ai guardafili. Boninoera il migliore fra tutti i telegrafisti.

 

Durante la guerra venne mandato per un periodo in Albania, poi ritornò in Italia e trascorse molto tempo a Sanremo,dove iniziò a lavorare per il telegrafo civile.

 

Bonino, ancora oggi,è una persona molto simpatica e socievole, adora raccontare barzellette ma soprattutto ama raccontare aneddoti del passato. Ricorda che da giovane aveva i capelli belli, ondulati;quando partì militare un tenente gli intimò di tagliare i capelli per evitare grane con lui. Ma poi Bonino incontrò un Maggiore originario della Sardegna che, dopo aver saputo che era sardo anche lui, lo prese in simpatia e sotto la sua ala protettrice, raccomandandogli di rivolgersi a lui per qualsiasi problema. Raccontò subito della minaccia del Tenente e il Maggiore disse a Bonino di lasciare i suoi capelli cosìcome erano. Dopo qualche giorno rincontrò il tenente che lo riprese nuovamente per non aver ancora tagliato i capelli. Ma questa volta Bonino disse che il Maggiore gli aveva detto di lasciarli cosi e il Tenente non poté far altro che allontanarsi in silenzio, gli ordini superiori non potevano essere messi in discussione!Un altro aneddoto che ricorda riguarda il periodo in cui si trovava in Iugoslavia, quando un altro Tenente gli ordinò di pulirgli gli stivali, ma Bonino gli fece notare di essere un telegrafista,non un tuttofare,nonera stato inviato dalla compagnia per fare il pulitore di stivali, e non glieli pulì.Un giorno si sentì male e vennericoverato, gli dissero che aveva bisogno di riposo e venne fatto rientrare in Italia, era il 1942/1943 (non ricorda di preciso la data), ma fu durante questo periodo che il fascismo cominciò a crollare.

 

Rientrato in Italia, suo padre si ammalò e così Bonino riprese a fare il contadino per alcuni anni, si comprò perfino dei piccoli buoi e li allevò. Si mise ad arare eacoltivare dei terreni.Il 10 Ottobre del 1952 iniziò a lavorare in Comune. Imparò subito le nuove mansioni, anche perché aveva tanta forza di volontà e forse era proprio quello il lavoro che gli piaceva di più. Forse proprio perché poteva stare in paese e non più in campagna.

 

Il 27 Luglio del 1963 si sposòcon Elena Mulas (nata il14/04/1938), dopo parecchi anni di fidanzamento, perché lui aveva un lavoro provvisorio e voleva passare di ruolo prima di unirsi in matrimonio e garantire una certa stabilità a sua moglie. Nel 1959 venne indetto un concorso al quale partecipò anche un giovane di Bari Sardo, ma Bonino fu il migliore e diventò così ufficiale di anagrafe.Dal matrimonio con Elena sono nati 4 figli, 2 purtroppo morirono in tenera età e a breve distanza l’uno dall’altro.

 

Ha viaggiato tanto.Ricorda soprattutto la Liguria, dove visseper un periodo sua figlia Monica.Ma è stato anche in Sicilia, a Pachino, dove abitavail fratello di sua madre. In Sicilia ha visitato l’Etna, arrivando quasi alla cima. Ricorda che in quell’occasione incontrò una macchina con dei turisti, sentendoli parlare capì che erano sardi. Allora gli fece uno scherzo aprendo di sorpresa lo sportello della loro auto e dicendo in dialetto: “Eitta sesi fendu innoi??” (In italiano: cosa ci fate qui??) I turisti inizialmente furono sorpresi,poi
risero insieme a lui. Ha visitato anche Venezia, Firenze con il suo bel ponte, il Ponte vecchio sull’Arno, “dove ci sono i negozietti bellini e cari”, racconta ridendo.Poi Pisa, bellissima città. Afferma che vedere la torre è uno spettacolo, dice: “Pende ma non cade come dice la canzone: che pende che pende ma mai non va giù”.

 

Pensando al passato ricorda che si aveva molto rispetto per gli anziani, però l’anzianità di allora era molto corta, non si viveva a lungo. Suo padre quando morì aveva solo 72 anni ma era fisicamente vecchio, provato da una vita dura. Si diventava vecchi da giovani perché la vita non era tanto facile, ed era così un po’ in tutti i paesi.

 

Dice che per gli anziani non c’era molta scelta, non c’erano ospizi e case di riposo,quindiad un certo punto venivano accuditi a casa dai figli. Si lavorava finché si poteva, i pastori ad esempio andavano all’ovile e dormivano in campagna. Continuavano a svolgere il mestiere finché le forze lo permettevano, anche da anziani. All’epoca le medicine erano davvero poche, tanto che quando qualcuno si ammalava bastava che gli venisse fatta della pastasciutta per guarire, perché si soffriva davvero tantola fame e spesso si stava male anche per questo.

 

Oggi i pensionati sono più assistiti, dalla famiglia ma anche dallo Stato. Prima non c’era la cassa mutua, se uno si ammalava o doveva fare un intervento chirurgico doveva pagare a sue spese, allora capitava che il Comune si prendesse la responsabilità di garantire e pagare per lui. Riflette sulla sua condizione di anziano e raccontache quando era giovane non pensava a come sarebbe stata la sua vecchiaia, e questa è una cosa naturale: si limitava a osservare gli anziani ma non pensava a quando sarebbe stato come loro.Qualche voltasi stupiva nel vedere un anziano che in piena estate soffriva il freddo, mentre oggi si rende conto che è lui ad avvertire il freddo in estateadesso.La vita in pensione è più o meno come se l’aspettava. Appena pensionato si è goduto giustamente un po’ di meritato riposo, poi ha iniziato a curare l’orto come ai vecchi tempi: harecintato un terreno, ha fatto dei muraglioni, ha portato della nuova terra, se ne è presocura e orgogliosamente ammette “di averlo fatto bellino”.

 

Quanto ai momenti di svago, ha imparato a giocare a carte e anche a biliardo. Gli piaceva andare al bar e farsi qualche partita tutti giorni,ma solo nel pomeriggio perché la mattina la passava all’orto. Iniziò a frequentare anche il circolo per gli anziani per il quale pagava un abbonamento annuale. Però in quel periodo iniziò ad avvertire la stanchezza nelle gambe, dovendo fare delle salite per arrivare al circolo. La sua malattia stava avanzando, una malattia anche poco conosciuta per laquale ha dovuto provare diverse terapie. Si ricorda del dottor Gianni Lai (fondatore dell’ospedaletto di Jerzu), era suo amico quando esercitava la sua professione nel paese, che gli dette una possibile cura per la sua patologia.Ad oggi vive nella stessa casa della sua infanzia, con sua moglie, le sue due figlie Massima e Monica e il suo nipotino Gabriele con cui chiacchera spesso e guarda la televisione.

 

Le sue condizioni di salute lo costringono a stare seduto su una sedia a rotelle,eogni giorno in casa c’è un via vai di persone:sia i professionistidell’assistenza sanitaria,sia gli amicie i vicini che vanno a farglivisita.È sempre stato abbonato al quotidiano, lo leggeva personalmentefino a 2-3 mesi fa. Ad oggi ha problemi di vista che non gli consentono di leggere neanche le parole scritte in grande, così la moglie legge il giornale per lui. Ci tiene ad essere sempre informato su quello che succede in Italia e nel mondo. Non sente molto bene, sente voci e rumori ma spesso non capisce cosa viene detto. Mattina e sera guarda il telegiornale, ma i giornalisti parlano molto in fretta e lui non li capisce bene, invece gli piace Amadeus perché ha un vocione, parla piano e riesce a capire cosa dice.

 

Alla tv si cerca i “filmettini” che gli piacciono, quelli di cui capisce la storia, e quelli in cui ci sono le ragazze belline.Pensa che le nuove tecnologie siano una bella cosa, prima ci si poteva tenere in contatto solo scrivendo lettere, oggi basta fare una telefonata per sentirsi e una videochiamata per rivedere persone lontane. Definisce il telefono come un “diavolo”perché ci si può faredi tutto: racconta diquando non ricordava il nome del pittore maledetto!Sua figlia Massima,in pochi secondi,ha fatto una ricerca col telefonoegli ha dato la risposta che cercava:era Caravaggio. O come quando aveva in mente una canzone antica di cuinon ricordava il titolo ma solo pocheparole che provò a “cantare” al telefono:“Laggiù nell’Arizona, terra di
4sogni e di chimere”. Grazie alla ricerca vocale, il telefono riuscì in poco tempo a trovarela canzone e a riprodurla, e lui sorpreso esclamò: “Arrazza de organizzazioni!”(In italiano: Caspita,che organizzazione!!)Raccontache quando venne intervistato dal Tg2, il giorno che il servizio venne mandato in onda, ricevette una telefonata dal figlio di sua cugina, da Milano, che aveva appena visto il servizio e lo aveva riconosciuto, ed era molto contentodi averlo visto in tv.

 

È consapevole che oggi molti giovani scappano dal paese e anche dalla Sardegna, perché il paese purtroppo non garantisce una vita discreta; scappano magaricon l’intenzione di tornare, ma poi non tornano perché si fanno una famiglia e preferiscono rimanere fuori. E questo gli dispiace molto.

 

Il suo consiglio: studiare, studiare davvero:perché se si studia poco seriamentesi resta indietroe si hanno poche speranzedi realizzarsi. Se uno è bravo,invece, riesce ancora a trovare un lavoretto come si deve.